Palazzo Chigi ha adottato il chiacchierato e atteso piano sulla banda ultralarga. Nessun passaggio obbligato alla fibra ottica, ma un orientamento chiaro.
Esattamente come previsto, il piano banda ultralarga varato dal governo adotta il documento di strategia nazionale elaborato dall’Agid e si basa su un condivisione di fondi europei, regionali, di coesione e sviluppo e di privati per cercare di portare a compimento l’obiettivo di agenda 2020: 100% di copertura a 30Mbps e 85% di copertura a 100 mbps. In una parola: fibra. Senza però costringere gli operatori a dire addio al rame.
Le prime indiscrezioni sul piano nazionale avevano lasciato supporre che allegato al decreto ci fosse lo spegnimento forzoso del rame nel 2030, che avrebbe significato un colpo al cuore dei programmi tecnologici delle telco: probabilmente era un messaggio rivolto a Telecom, da tempo sul piede di guerra rispetto a queste tentazioni “dirigiste” (così le ha definite IlSole24Ore) che avrebbero destabilizzato i piani industriali della società, colpevole secondo i ministeri coinvolti di aver fatto saltare il tavolo della discussione.
Lo scenario è però davvero improbabile, al di là delle ruggini tra politica e telecomunicazioni che sono una cattiva tradizione italiana, considerando almeno tre ragioni: un ministro come la Guidi; la necessità di portare tutti gli operatori privati nel piano nazionale; la neutralità tecnologica alla base della strategia, cioè la fiducia nel mercato come regolatore delle scelte degli operatori alle quali segue un meccanismo virtuoso alimentato dagli incentivi pubblici.
Cosa dice il piano
Il piano nazionale dovrebbe dotare il paese di quella strategia ultrabroadband – raccomandata da Antitrust e Agcom anche per tutta la banda larga in generale – che finora è mancata. Siccome c’è bisogno dei privati e lo Stato copre le aree di scarsa remuneratività, si è arrivati a questi punti di compromesso:
- Fibra agli armadietti. Anche se il governo è convinto (giustamente) che il Ftth sia la tecnologia più lungimirante, il piano non forza al 100% la copertura, ma accoglie le osservazioni degli operatori che – in primis Telecom – preferiscono utilizzare un ventaglio di tecnologie lasciando in alcuni casi il doppino di rame nell’ultimo tratto e coprendo la aree più complicate con tecnologie di rete mobile. Da sempre il vero mercato in espansione in Italia.
- Incentivi pubblici. Lo Stato garantisce sei miliardi di euro per investire nelle aree marginali e la realizzazione diretta di infrastrutture pubbliche nelle aree a fallimento di mercato. Le risorse pubbliche a disposizione derivano dai fondi europei FESR e FEASR, il fondo di Sviluppo e Coesione, a cui si sommano i fondi collegati del Piano Juncker. Dai privati ci si attende all’incirca la stessa cifra. Quindi il piano vale 12 miliardi di euro da qui al 2020.
- Migrazione rame-fibra progressiva e concordata. Le misure per il passaggio alla fibra verranno inserite ad hoc in un provvedimento specifico e nei decreti successivi. Per evitare quelle accuse di dirigismo, il governo pensa di mettere in campo un fondo di garanzia, dei voucher di accompagnamento e una convergenza di prezzo per i collegamenti in fibra ottica realizzati con sovvenzioni statali, al prezzo dei collegamenti in rame. In pratica, agendo sul prezzo finale invece che sulla finalità dell’hardware in sé premiando la tecnologia che si ritiene più adeguata per sviluppare la competitività futura del Paese. D’altronde la fibra ottica garantisce prestazioni più sicure nel tempo, la frequenza dei guasti è di due ordini di grandezza inferiore rispetto al rame, con costi di manutenzione sensibilmente più bassi.
La Crescita digitale
Insieme al piano banda ultralarga il governo ha adottato anche il piano Crescita digitale, che in un certo senso è il suo sviluppo in termini di servizi. Tutto l’open governement dei prossimi anni passa da questo piano che prevede tra le tante cose lo Spid (Servizio Pubblico d’Identità Digitale) e la sua evoluzione futura, Italia login – che verrà presentato in aprile.