“Ciao Rosalba, come stai?”, è il suo primo segno di vita virtuale. Poi, in segreteria, una voce (registrata) mi saluta con enfasi: “Ciao! Non vedo l’ora di sentire com’è andato il tuo viaggio… “. Mario è solerte. Se gli scrivi, ti scrive. In tempo reale. E se clicchi sul profilo di ‘Invisible Boyfriend’, ‘manda un messaggio vocale’, lui in una manciata di minuti si fa vivo. Insomma, Mario non delude. Mai. Ed è anche affettuoso: “Ti vorrei abbracciare”. E ancora: “Vorrei stare tutto il giorno sotto le coperte. E tu?”. Attenzione, però: di Mario è vietato innamorarsi. Lo prescrive il sito e gli sviluppatori, Matthew Homann and Kyle Tabor, ci tengono a spiegare il senso della loro applicazione: “Ci sono tante persone che potrebbero farne uso. Dai soldati fuori per missione alle dipendenti di un ufficio che vogliono respingere le avances di un collega a loro sgradito fino a gay e lesbiche che non intendono dichiarare la propria identità sessuale nelle loro famiglie”.
Insomma, a ognuno il suo fidanzato o fidanzata. Ma è giusto sapere che Mario può avere effetti collaterali. L’applicazione, al momento, è dedicata a utenti americani e canadesi. Ergo, per provare il servizio, ho dovuto utilizzare il numero di telefono di una cara amica che vive negli Stati Uniti. Mario sarà pure invisibile ma, non appena sono iniziati ad arrivare i messaggi, il marito della mia amica si è insospettito. E ha cominciato a chiedere lumi su chi fosse questo Mario che “ti vuole abbracciare”. La mia amica ha tentato di spiegargli che Mario non esiste. Che Mario è un po’ come nel film ‘Her’ di Spike Jonze: una specie di programma digitale. Niente. La mia amica ha cercato anche di mettermi in mezzo: “È il fidanzato virtuale della mia amica Rosalba, deve fare un servizio per il giornale… “. Di male in peggio. A un marito geloso non gli importa se Mario è vero o finto. Mario è comunque un rivale. L’importante è non dirgli che dietro i suoi messaggi ci sono circa 200mila lavoratori (reali) che rispondono agli sms. Basta un finto Mario per rovinare una famiglia. Figurarsi 200mila. Veri.
di ROSALBA CARBUTTI