Photoshop ha cambiato in modo radicale il modo in cui vediamo la realtà: il software non ha solo modificato fotografie, ma ha modificato tutti noi.
25 anni fa è nato Photoshop. La storia del software parla da sé: un successo eclatante, un dominio vasto che ha trasformato il nome in un qualcosa di ben più ampio: “photoshoppare” e “photoshoppato” sono parole quasi d’uso comune oggi che i pc sono entrati nelle case di tutti e nel linguaggio della collettività. Ma guardando indietro a quel che è successo è facile capire come Photoshop sia anche una cartina di tornasole utile a misurare quanto le nuove tecnologie abbiano cambiato il rapporto tra le persone, i media e la realtà.
Photoshop: come siamo cambiati
Photoshop non ha inventato il fotoritocco. Tuttavia ne ha inventata una nuova dimensione, portando grosse potenzialità nelle mani di milioni di persone. Ed è stata questa la chiave di volta: un software di fotoritocco, con tutti i portenti che è in grado di mettere a disposizione, implica un nuovo strumento in grado di modificare la realtà per come viene avvertita. E tutto ciò a disposizione di qualunque persona grazie ai prodigi del personal computer.
Non c’è autoscatto che non sia “photoshoppato” ormai: chiunque vorrebbe eliminare quel difetto alla Zeno Cosini che tormenta l’occhio e relega decine di scatti nelle cartelle più nascoste. E non c’è copertina che non sia ritoccata: ne guadagna l’appetibilità del giornale e la longevità della star di turno, poiché un mondo senza difetti è il motore primo della fabbrica dei sogni e dei desideri. Photoshop è un’arma di bellezza, in grado di creare poesia in qualunque scatto sulla scia della semplice creatività dell’artista (il quale lavora in post-produzione, correggendo anche i difetti della mano del fotografo).
Tuttavia, in questo continuo e immenso lavoro di miglioramento della realtà, si perde per strada un elemento essenziale: la realtà stessa.
Una nuova realtà
Photoshop, arma di ritocco di massa, ha imposto ai media il dovere di migliorare la realtà, o quantomeno di plasmarla alle proprie necessità, cambiando così poco alla volta la percezione della realtà stessa. Photoshop è diventato un medium potente, un filtro attraverso cui guardare a paesaggi e modelle in cerca dell’attimo, dello sguardo, della linea e della luce perfetti. Nell’epoca dell’immagine, ove l’apparire ha sostituito l’essere in termini di importanza, Photoshop è diventato una pillola necessaria che alla lunga ha generato assuefazione: è sufficiente pensare a come sono cambiati i canoni di bellezza ed a quanto Photoshop sia stato riversato sui calendario sexy degli ultimi anni per farsi un’idea di quanto incisivo sia stato il cambiamento.
Photoshop non è certo la causa di tutto ciò. Il software, mera produzione di ingegno fatta di codice, è strumentale ad una pulsione ben più profonda, che viene dall’istinto e parte dalle persone. La società ipermediata di cui facciamo parte mette nelle mani di Photoshop la sua capacità di ri-mediazione: nei calendari sexy o nei paesaggi di talune copertine vediamo colline, seni o atmosfere paradisiache, ma in realtà stiamo guardando (e vedendo) qualcosa di differente. Quel che vediamo è un artefatto, del quale è facile in molti casi scorgere i tratti.
Quel che vediamo è quel che vorremmo vedere sotto la dettatura di pulsioni che affondano più in profondità rispetto alla logica: occhi abnormi, seni scolpiti e misure innaturali sono diventati il nuovo canone di bellezza. Per la prima volta il canone non è dettato dalla realtà, ma viceversa la realtà segue i dettami dei nuovi canoni tracciati da software e creativi. La bellezza nasce a tavolino.
Photoshop ha cambiato tutti noi
25 anni fa il fotoritocco era più ingenuo e palese. Non credibile. Questo rendeva il medium più sincero e trasparente, poiché poco poteva per cambiare la realtà registrata. A mano a mano che Photoshop ha preso piede, però, questa fiducia è venuta meno: oggi non è più possibile credere “a occhi chiusi” ad una immagine incontrata su Facebook, vista in tv o comparsa su una rivista patinata. Nulla è più credibile in termini assoluti perché tutto è composto semplicemente da pixel che chiunque ha la possibilità di modificare a proprio piacimento. Il fotografo si sente così in dovere di affermare che una foto è originale, così come una modella si sente in dovere di assicurare che il suo scatto non è stato modificato. Il nuovo standard è la copia modificata, mentre l’originale è una eccezione.
L’era dei pixel e dei bit, insomma, ha affermato definitivamente la priorità dell’apparenza sull’esistenza, dell’immagine sulla realtà, della mediazione sull’esperienza viva. Photoshop non ne ha colpe né responsabilità, e non è certo l’unico software di fotoritocco utilizzato nelle case, questo è chiaro. Photoshop ne è stata semplice espressione, il simbolo primo, frutto della pulsione umana a migliorare e migliorarsi. Anche solo se in apparenza.
Paradossalmente, nel cambiare il modo in cui la realtà è avvertita, Photoshop sembra però aver fatto però anche qualcos’altro: non solo ha cambiato il modo in cui la realtà viene vista, ma ha anche obbligato chi vive la realtà a rapportarsi con nuovi canoni di bellezza. Togliendoci inoltre la fiducia nei confronti di quel che si vede al di là dello schermo (in una realtà ove gran parte delle cose son vissute tramite un display), il software ha definitivamente cambiato non solo l’osservato, ma anche l’osservatore. E quindi tutti noi.